Arrivano le liste di proscrizione
Che il clima che si respira in Italia non possa essere
definito, se non nella forma, democratico, è un dato di fatto che
chiunque è in grado di vedere. Due anni di gestione scellerata dell’informazione
a senso unico ha creato il terreno fertile su cui si poggia la seconda grande
lotta dei giornali mainstream, ossia quella diretta contro i presunti
filoputiniani.
A parlare, o meglio a fare una sorta di lista di proscrizione
è stato il Corriere della Sera con un articolo uscito lo scorso 5 giugno. Un attacco
contro nove persone ritenute parte integranti di una presunta rete russa la
quale sarebbe responsabile di inquinare l’informazione tricolore con notizie
provenienti dagli uffici del Cremlino. La fonte citata da Fiorenza Sarzanini e Monica Guerzoni per la costruzione dell'articolo, se così si può
definire, è il Copasir, una istituzione parlamentare che ha lo scopo di controllare l’operato
dei servizi segreti. Ad essere attaccati, con giustificazioni false e deliranti,
sono personaggi che in un modo o nell’altro parlano della guerra non dallo
scorso 26 febbraio, ma a partire dai fatti di Piazza Maidan del 2014. Ci sono il professor Alessandro Orsini, il pluripremiato fotoreporter Giorgio Bianchi (che segue il conflitto russo-ucraino da otto anni), il
geografo ed esperto di geopolitica Manlio Dinucci, e i giornalisti Laura Ruggeri,
Maurizio Vezzosi e Maria Dubilakova. Oltre a questi nella bella lista
contraddistinta da foto segnaletiche ci sono due politici appartenenti alla
Lega e M5S.
All’interno dello scritto del Corriere della Sera, oltre ad
asserzioni smentite dagli stessi diretti interessati, si tocca con mano il
clima d’odio e di intolleranza che si respira nei confronti di coloro i quali
muovono un dito cercando quantomeno di offrire un varco interpretativo differente
da quello largamente dominante. Ma questo in Italia è ormai considerato un
reato, un reato d’opinione che viene sbattuto in prima pagina mediante un dossieraggio, prima
neppure pensato per questioni ancor più gravi (per fortuna l’ordine dei
giornalisti, magari in leggero ritardo, si è schierato contro il Copasir).
Non si entra nel merito della faccenda cercando di smentire
l’attività di questi professionisti, cosa che tra l’altro si può fare senza
usare metodi mafiosi, ma si fa di tutto per denigrarli, con un attacco ad
personam, come è tipico di chi non ha argomenti. Non si scopre l’acqua calda
che attaccare una persona, magari con etichette create ad hoc, è il metodo
migliore per vincere la battaglia delle informazioni, una battaglia costante ed
infinita.
Il bello è che la più ampia critica ai cosiddetti filoputiniani
arriva mediante manovre tipiche dei regimi, ovvero la criminalizzazione del
dissenso a mezzo stampa. È inutile che si facciano i paragoni col passato, ma è
bene ribadire che la storia insegna che ogni tipo di autocrazia, di qualunque colore
e forma, innesta le proprie radici non da un colpo di mano militare, ma dalla
creazione di una opinione pubblica intollerante e abituata alla
militarizzazione forzata delle opinioni. Questa lista di proscrizione, sperando
che sia l’ultima (anche se a partire dal 2020 ne avevamo viste altre), ci
deve assolutaente far indignare.
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