Perchè la chiusura draconiana di Shanghai deve farci riflettere
È di queste ore la notizia
che a Shanghai, una delle città più importanti della Cina nonché polo portuale e
industriale di tutto il Medio Oriente, si sono registrati tre decessi da o con
Covid, aumentando i decessi a sette in oltre due anni. La metropoli, per questi
numeri ridicoli, da quasi un mese è ingabbiata in un irrazionale lockdown
senza che nessuno si ponga il reale motivo a fronte di casi e decessi altamente
trascurabili. Sembrerebbe dunque che il Dragone voglia spaventare di nuovo il
mondo come fece nell’ormai lontanissimo, anche se sono passati due miseri anni,
scenario di Wuhan nel quale alcuni casi di polmoniti vennero etichettati come
sconosciuti e da lì cominciò l’epopea che ha ingegnerizzato le nostre vite.
Tuttavia, mentre l’opinione pubblica viene ora bombardata dalle immagini della situazione bellica in Ucraina, quel lockdown ha un non so che di
terrificante misto a raggelante. Anche se, è bene ribadirlo, ogni cosa che proviene
dalla Cina è possibile etichettarla come propaganda all’ultimo stadio, è bene
riflettere su questa situazione perché da qui a considerarla come un format
replicabile anche in Europa, visto lo spauracchio razionamenti sempre più
vicino, non appare una ipotesi fantasiosa. A maggior ragione quando tutti gli
scenari ipotizzati un anno o addirittura due anni fa si sono materializzati e
concretizzati alla faccia di coloro i quali pensavano che una crisi del genere non
fosse reiterata all’infinito.
Ricapitoliamo: dallo scorso 2020 Shanghai non ha mai visto né
lockdown né provvedimenti draconiani sebbene i cittadini abbiano ovviamente accettato
tutte le misure a loro imposte. Da due anni, dunque, la città portuale per
eccellenza, fonte di scambio con migliaia di percorsi commerciali, non ha mai
subito un arresto tale da diventare un caso eccezionale e al contempo taciuto
come si fece nel dicembre 2019 e gennaio 2020 a Wuhan. Tuttavia, il partito
comunista cinese, nel marzo 2022, ha deciso o meglio confermato l’irrazionalità
dei suoi provvedimenti sanitari confermando quello che aveva fatto in
altre città strategiche (si vedano i casi di X’ian
e Yuzhou che per una manciata di presunti positivi hanno sigillato in casa
milioni di persone). Il PCC ha ora scelto per il suo suicida esperimento di
massa Shanghai e da lì i cittadini vivono un incubo di difficile comprensione.
I 26 milioni di abitanti, un numero veramente enorme, sono ora costretti ad essere chiusi nei giganti di cemento che caratterizzano la città e nel peggiore dei casi ad essere spediti in campi di quarantena
osservati da personaggi vestiti di bianco che sembrano provenire da un altro
pianeta. Per questo, essendo praticamente impossibilitati di respirare, i
cittadini si stanno muovendo addirittura per organizzare delle proteste contro questa
insensatezza. Ciò fa capire che la rabbia, in un paese come la Cina dove non
esiste nessun diritto per coloro i quali non si allineano, è diventata sintomo
di rivolta. Alla rabbia si aggiunge anche la violenza vera e propria: spesso i
cittadini più in difficoltà sono costretti a saccheggiare cibo o a rubare nei
negozi perché il denaro scarseggia e sono solo pochi quelli che veramente
riescono a sopportare la distruzione economica di una città abituata a
scambiare con tutto il mondo.
Ma questo al leader maximo Xi Jinping non sembra
interessare. Come riporta il South
China Morning Post, quotidiano di Hong Kong chiaramente anti Pechino, ha
riportato che il presidente del PCC in una visita a Hainan, ha affermato che
"il lavoro di prevenzione e controllo non può essere allentato".
È lo stesso Xi che quasi due anni fa parlava
di fine della pandemia da covid e di modello cinese di grande successo basato
sulla strategia Zero Covid festeggiando nella Grande Sala del Popolo di Pechino
e premiando gli eroi della battaglia in perfetto stile bellico.
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