La quarta dose della pandemia infinita

 






Israele apre la strada

Come spesso ha fatto in questi ultimi due anni Israele è in procinto, o meglio ha iniziato, ad aprire un nuovo varco della narrazione sanitaria. Ha a breve cominciato ad inoculare la quarta dose di vaccino, in una incuranza scientifica di fondo da far rabbrividire e non ci sorprenderemo, se questa presto arrivi anche in Italia (cosa che in realtà si sta già facendo strada nel mainstream). Il premier israeliano Naftali Bennett in data 4 gennaio ha dichiarato, come "una settimana dopo l'iniezione della quarta dose, sappiamo con maggiore certezza che è sicura ed efficace".

Peccato che lo stesso Bennett, lo scorso 20 agosto, parlava sui social della terza dose negli stessi termini entusiastici. "Il terzo vaccino ci protegge e può prevenire danni alla salute e ai mezzi di sussistenza".

Insomma, stessa narrazione nonostante si salga col numero di dosi. Quando si dice brancolare nel buio.

Ormai il paradigma pandemico più che affievolirsi, come molti positivamente auspicavano, si sta rafforzando tra obblighi, restrizioni e limitazioni alle libertà personali visti come dogmi assolutamente intoccabili e di cui nessuno può permettersi di metterli in discussione pena la gogna mediatica che mai come ora è la sola forza sociale ad avere in mano il discorso. Ma la pandemia ci sta aprendo anche ad un ulteriore e spaventosa prova di forza, che un pò è stata suggellata dalla quarta inoculazione: la normalizzazione delle abitudini, la meccanicità di quel rituale che ormai si sta completamente innestando nel nostro inconscio. E questo è un dato preoccupante che ci avvisa del fatto che anche se tutto finirà la psiche dell'essere umano pandemico (l'homo pandemicus come molti hanno sentenziato) ne è uscita con le ossa rotte, quasi distrutta dal continuo e martellante ruolo dei media che ha alla sua base quello di lucidare la notizia con il fine di essere assimilata più velocemente possibile dalle fauci dell'opinione pubblica, oggi non più una bestia da domare ma un cane da compagnia da accompagnare pedissequamente in ogni sua attività quotidiana.

Dall'altro lato lo scenario di questo 2022 non sembra essere uno dei migliori: del resto, se l'Italia, alla pari di Israele e questo ci costringe ad una riflessione, ha deciso di confermare ancora una volta lo stato d'emergenza, un motivo deve pur esserci. Appare chiaro il ruolo svolto dal nostro paese in questo periodo storico: prima con il lockdown, poi con il green pass (diventato poi, vista l'insostenbilità della sicurezza vaccinale, super green pass). Nei momenti decisivi il laboratorio Italia ha mostrato ai propri sperimentatori di ottenere risultati molto convincenti, vuoi per la costituzione dell'italiano medio vuoi per la componente conformistica che mai è passata d moda. Solo che se prima eravamo bravi ad imitare gli americani, oggi diamo il meglio di noi a replicare i metodi dittatoriali della repubblica popolare cinese, in un continuo meccanismo bastone-carota e dove il politico si sta trasformando in una figura clownesca, talmente di bassa caratura da diventare ogni giorno più grottesca.

Il loop infinito: la comunicazione come arma

L'Omicron tra alti e bassi, perlopiù riferiti ai piccolissimi tassi di mortalità di questo raffreddore (cit. Matteo Bassetti, nota virostar), continua il percorso delle varianti precedenti: seminare terrore a prescindere dalla pericolosità in sè e dal fatto che la sopravvivenza a questo malanno stagionale sia comunque certa (soprattutto per le persone sane). Questo non importa perchè la logica, nel contemporaneo mondo covidiano, non conta, è tanto chiara quanto non percorribile dalla massa ipnotizzata dai mess media, che oggi come più volte ripeteva il celebre sociologo americano Marshall McLuhan sono diventati tutti freddi, ovvero non richiedono più una partecipazione attiva del pubblico ma solo un accondiscendenza acritica di esso. La gestione della comunicazione, come più volte ribadito, è il cuore di tutta la faccenda: pensate se dall'inizio avessere snocciolato i dati di questa omicron, ma anche di altri tipo di virus, nella maniera più chiara e limpida possibile, senza sensazionalismi, senza terrorismo immotivato o ricorrendo ad una impostazione mediatica basata sul contenuto emozionale. Molti dei nostri concittadini avrebbero percepito questa notizia come tante altre e avrebbero in seguito mollato l'iniziale paura concernente il nemico invisibile, più volte evocato in decenni di trattazione letterarie e cinematografica. La definizione di notizia oggi, nel contesto dell'informazione globalizzata e mercificata, è inoltre intesa come spauracchio liquido che dura come un fiammifero: una volta spento deve essere sostituito da un altro.

L'impatto a dir poco scenografico dei medici in camice bianco prima e dell'arrivo del vaccino poi hanno poi rincarato la dose di una comunicazione prettamente emotiva che fa di tutto per scalzare anche un minimo di razionalità dietro la lettura di questo o di quell'altro evento. La paura, la scansione lessicale dei giornalisti televisivi e il loro perenne sguardo serioso e drammatica hanno scolpito nelle menti dell'opinione pubblica un mostro di difficile controllo che mano mano diventa sempre più pervasivo fino a diventare un unico blocco di pensiero che scalza velocemente ogni frammento a lui ostile. Come diceva Walter Lippmann, uno dei giornalisti più famosi del novecento nonchè esponente di punta dell'amministrazione di Woodrow Wilson, lo stereotipo è il mezzo idealtipico con cui l'opinione pubblica affina la propria conoscenza della realtà. Depurandola con il proprio pensiero si costruiscono immagini semplificate con le quali è possibile fabbricare un'opinione nella maniera più comprensibile possibile. Ditemi voi se le parole "contagio", "terapie intensive" e "distanziamento sociale" non possano essere classificate come parole stereotipo.

Riscontri psicologici

Il framing dell'informazione di sistema non lascia spazio alla razionalità e al pensiero coerente. Pensare, in un momento di delirio collettivo come questo, è un'attività se non eccezionale a dir poco rivoluzionaria perchè presuppone una capacità mentale molto forte e non aderente alla vulgata dominante. Formulare il pensiero, seguendo il concetto espresso da Bernays in Propaganda, ci dà il lusso di abbandonare il gregge, la massa la quale necessita di un sostegno per vedere la strada, e di smarcarci da quell'orda di terrorismo che ci assale senza pietà. Dal punto di vista dell'approccio della notizia dilaga solamente un becero conformismo, più volte ribadito nel secolo scorso da esperimenti di ingegneria sociale che ci descrivevano le caratteristiche dell'uomo globalizzato: solo, impaurito e per questo quasi obbligato ad omologarsi al pensiero unico, senza il quale rischia la "spirale del silenzio" (intuzione della socioologa Elisabeth Noelle-Neumann) che ha come fine l'isolamento delle proprie opinioni.



Commenti

Post popolari in questo blog

La guerra e gli scenari futuri

Jacob Schiff, il banchiere più potente di Wall Street

Covid, ci risiamo!