Il mistero del blackout di Facebook, Instagram e Whatsapp
L'improvviso blackout che ha coinvolto i servizi di Mark Zuckerberg
ha spinto migliaia di persone a chiedersi i motivi per cui questo sia accaduto. Sono emerse anche una
serie di teorie che hanno avuto, e hanno ancora, l’obiettivo di capire i
contorni di quella manciata di ore. Un vero e proprio “evento” perché mai la
nota piattaforma nata nel 2004, assieme alle sue accolite, si era inceppata in
questo modo, per circa sei ore, e aveva fatto intravedere un ventre molle capace
di essere slabbrato e strappato via. La società di Zuckerberg nel momento in
cui è scomparsa dal web ha perso miliardi di dollari e molte fonti parlano
addirittura di una vendita di dati di miliardi di persone da parte di coloro
che probabilmente hanno avuto un ruolo più o meno importante nella vicenda.
I media parlano anche di una serie di problemi non solo
legati alle infrastrutture online ma anche per quelle offline. La BBC riporta le
dichiarazioni di una giornalista del New York Times che ha detto “le persone
che cercavano di capire quale fosse questo problema non potevano nemmeno
entrare fisicamente nell'edificio". Il Daily Express
ha invece ipotizzato che tutto l’evento sia solo frutto di una sbagliata
configurazione e che tale scelta “ha avuto un impatto sugli strumenti e sui
sistemi interni dell'azienda, complicando i tentativi di risolvere il problema”.
La parola ai whistleblower
Domenica il celebre programma della CBC 60 Minutes ha intervistato
un ex dipendente di Facebook, chiamata nel gergo fischiatrice, ossia una
persona che dopo essere stata parte di un sistema ne denuncia le politiche, Frances
Haugen. L’ex product manager della società , come ha riportato la CNN, ha parlato di una gestione antidemocratica
del sistema e ha denunciato la società di diffondere odio e violenza. La 37enne ha anche affermato di aver prelevato migliaia di documenti che saranno utili per una sua
deposizione al Senato, e di aver dato ai giornalisti del Wall
Street Journal una grande mole di documentazione che,
come è accaduto in passato, potrebbero avere risvolti interessanti e controproducenti
per la casa madre della Silicon Valley.
“Mi sono fatta avanti perché ho riconosciuto una verità
spaventosa: quasi nessuno al di fuori di Facebook sa cosa succede all'interno
di Facebook", ha detto la Haugen al programma 60 Minutes.
Una bomba ad orologeria e non è la prima volta che un “fischiatore”
esce dalla gabbia e parla liberamente dei danni che i social hanno fatto nel corso
degli ultimi dieci anni. Nel 2017, un altro nome altisonante dell’universo
Facebook Chamath
Palihapitiya, davanti agli studenti della Stanford Graduate School of
Business, parlava dei pericoli del social, tra cui ovviamente Facebook. Li bollava come strumenti negativi e
responsabili di aver distrutto il tessuto sociale dei rapporti umani.
“I circuiti di feedback a breve termine guidati dalla
dopamina che abbiamo creato stanno distruggendo il modo in cui funziona la
società. Nessun discorso civile, nessuna
cooperazione; disinformazione, menzogna. E non è un problema americano, non si
tratta di annunci russi. Questo è un problema globale”.
Primo passo del Cyber Polygon?
Accanto alle ipotesi di una situazione collegata alle
dichiarazioni dei whistleblower ce ne è un'altra, che a differenza delle altre
sembra non essere stata presa in considerazione. Facciamo riferimento ad una possibile
correlazione tra l’evento andato in scena lo scorso 9 luglio intitolato Cyber
Polygon e il blackout di Facebook, Instagram e Whatsapp. Due eventi che seguono
un filo logico e del resto gli stessi padrini della simulazione di attacchi
informatici ci avevano detto chiaro e tondo il dà farsi. Il Cyber Polygon, evento in cui
appunto si simula una pandemia informatica che mette ko il sistema di approvvigionamento
globale, si sarebbe mostrato come quello che Event 201 fu per la pandemia da Covid-19. Si paventa dunque uno scenario in cui i sistemi informativi mondiali
vadano in tilt e abbiano per questo una influenza a catena anche in tutti gli
altri servizi, da quelli economici a quelli prettamente informatici. Scenari come
questi per il World Economic Forum, a detta del padrone del noto think tank elvetico,
servono, anzi sono vitali, per spingere ulteriori politiche di controllo
informatico, puntante non solo a ridefinire i concetti stessi dell’informatica
ma anche a demolire l’attuale sistema vigente. Dunque, appare in questo contesto
l’operazione Facebook come congeniale a questa iniziativa, quasi a definire che
da qui in avanti ne vedremo delle altre, per arrivare ad un punto di non ritorno
dal punto di vista della salvaguardia digitale.
Insomma, se visto da questa prospettiva il blackout di Facebook, Instagram e Whatsapp potrebbe diventare un precedente abbastanza preoccupante, volto a definire
nuove e rigide regole nei controlli degli utenti nel web, attualmente l’unico
luogo in cui in teoria si è ancora liberi.
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