Il Covid-19 e il mondo che verrà: tre punti su cui riflettere
A cura di Giancarlo Pacelli
1. Malthusianesimo e pandemia: quale correlazione?
Spesso si sente dire che dietro la pandemia si celino in
realtà perversi strumenti di controllo della popolazione, di sistematica
riduzione della produttività e di cambiamento sociale. Lungi dallo sposare
appieno questo aspetto è innegabile affermare che gruppi di potere, fondazioni,
tink thank, nel passato e nel presente abbiano sempre covato, nei loro report e
documenti specifici, una volontà ferrea di adattare, perfezionare politiche
legate alla cosiddetta decrescita. In passato questo era piuttosto evidente,
nell’era della globalizzazione coatta ciò che occorreva ai colossi occidentali
era succhiare più linfa possibile dai paesi ricchi ma dotati di poche
infrastrutture (si pensi all’Africa) in un’ottica neocoloniale ed estesa a
progetti egemonici e precisi, risultanti sì aspirazioni differenti ma sempre
connesse. Insomma, gruppi di potere, si pensi alla Commissione Trilaterale di Henry Kissinger e David Rockefeller, hanno sempre utilizzato la clava della
decrescita con l’obiettivo di rendere gli Stati Uniti sempre più superpotenza,
nella forsennata corsa alla globalizzazione che proprio con il Covid sembra
arrivata agli ultimi colpi di coda. Non si dicono eresie se personaggi come il
Rockefeller o il Kissinger, in passato e durante le loro numerose attività a servizio
dei loro padroni, abbiano sempre aspirato ad un controllo della popolazione,
al fine di affrontare la "sovrappopolazione". Si pensi al noto discorso che il
Rockefeller fece dinanzi alle Nazioni Unite il 14 settembre 1994[1]
o al poco noto Memorandum 200[2]
di Kissinger (il cui titolo è National Security Study Memorandum 200
Implications of Worldwide Population Growth for U.S. Security and Oversea),
reso pubblico circa vent’anni dopo durante la presidente di Gerard Ford e in
cui il rampollo dei Rockefeller, nonché membro pulsante del Royal Institute of
International Affairs, Club di Roma e Council of Foreign Relations, affermava
tranquillamente che per far si che la potenza Usa andasse sempre più a vele
spiegate verso una crescita economica, all’epoca inserita nei binari del
“conflitto” con l’Urss, si doveva con le buone o con le cattive impedire ai
paesi poveri di sfruttare appieno le proprie ricchezze a favore delle
superpotenze occidentali, ree di aver concluso nel corso della loro storia
innumerevoli crimini coloniali e di aver praticamente messo ko i paesi facenti
parte del noto terzomondismo.
Tornando al Rockefeller, la sua famiglia è piena di
aspiranti malthusiani, che velatamente o chiaramente, nel corso dei decenni,
hanno sempre compiuto una guerra serrata alla natalità. Nota è l’attività del
family planning della Rockefeller Foundation sin da quando esiste, dal 1913,
incentrante sul controllo demografico e sulla pseudoscienza dell’eugenetica, la
cui costruzione dogmatica si deve anche al supporto che John Davison
Rockefeller, il capo supremo del petrolio mondiale, fece sostenendo la testa
pensante nazista nel campo dell’eugenetica, Ernst Rudin[3].
Quest’ultimo diverrà negli anni il simbolo degli obbrobriosi esperimenti sugli
esseri umani considerati inferiori, ma in realtà il nome dei Rockefeller
rimarrà sempre nascosto e censurati dai libri di storia, quasi come se qualcuno
avesse impedito di far conoscere al grande pubblico le attività della famiglia
più potente d’America. In realtà il malthusianesimo dei Rockefeller non si è
concluso nell’esperimento sociale nazista, ma è proseguito nel corso dei
decenni sottoforma di diverse attività, apparentemente benevole ma pur sempre
inserite nel contesto del controllo demografico. Qualche accenno lo merita il
Planned Parenthood, organizzazione creata da Margaret Sanger e supportata da
John Davison Rockefeller III, altro membro importante della dinastia che non ha
mai nascosto di desiderare una riduzione del numero della popolazione.
Rockefeller si rese protagonista anche in attività parallele ma comunque legate
al discorso demografico: dalla creazione del Consiglio della Popolazione
(Population Council) fino al supporto di tantissime azioni a favore dell’aborto
(si ricordi il discorso di J. H. Knowles, presidente della Fondazione
Rockefeller sulla necessità di aumentare gli aborti negli Stati Uniti[4]),
la nota famiglia ha sempre portato avanti questi discorsi[5]
non attirandosi mai critiche ma invece elogi e supporti, quasi come se fosse
normale desiderare la morte di svariate milioni di persone. Il discorso legato
ai Rockefeller è molto importante perché ci aiuta a capire quanto questa
famiglia sia stata il perno di un vero e proprio pensiero depopolazionista
e il perché ancora oggi questo perverso filone, iniziato grazie a reverendo
Thomas Malthus (autore del controverso Saggio sul principio di popolazione,
pubblicato nel 1798), sia sempre di attualità. La decrescita della popolazione
comporta una riduzione di ricchezza, e una riduzione di ricchezza per un paese
significa fine dell’economia reale e inizio di anni di continua recessione. La
tattica di controllare la popolazione ha dunque che fare con un discorso
principalmente economico, ma che viene sempre presentato, agli occhi
dell’opinione pubblica, come legato o alla salvaguardia della salute della
popolazione o al rispetto dell’ambiente, altro ambito prontamente cavalcato e
colonizzati dai petrodollari della Rockefeller Foundation (si pensi alla figura
di Maurice Strong). Essendo le risorse di un paese ricco di materie inizialmente
infinite, ecco che si tira fuori dal cassetto lo spauracchio del cambiamento
climatico, che per molti esperti del clima si conferma una bufala, per far si
che quel paese si privi delle sue ricchezze e non possa competere con le solite
potenze mondiali. Questa strategia è andata bene fino a poco tempo fa ma ora il
discorso si sta trasmutando in maniera repentina. Non più i paesi poveri, ma
ricchi di materie prime, quelli europei e nordamericani che
hanno costruito gran parte del proprio benessere a partire proprio dallo
sfruttamento dei beni di paesi terzi.
In questo contesti, si ricordino l’attività del Club di Roma che sin dall’inizio, dopo essere stata finanziata dai Rockefeller dalla loro villa di Bellagio (Italia), hanno sempre sostenuto l’archetipo della cosiddetta decrescita felice. E cosa potrebbe significare questo termine se non ridurre progressivamente l’economia di un sistema per poi vederlo ridotto a livello di popolazione? Le teste pensanti del Club di Roma, tra cui spicca l’imprenditore italiano Aurelio Peccei, non hanno mai nascosto i loro non pii intenti all’interno di questa congrega elitaria. Il loro libro principale, The Limits to Growth, ossia una sequenza di apocalittiche asserzioni, cambiamenti climatici, disastri planetari e così via si è rivelato più che un manuale di sopravvivenza un vero e proprio manifesto del pensiero ecologista, alla cui base vi è sempre stato un intento velatamente neomalthusiano. Nei Limiti della crescita gli autori parlano chiaramente della minaccia climatica e dell’impervio percorso da fare per evitarla, inanellando una serie di considerazioni, spesso pseudoscientifiche, che hanno visto i germi di quel movimento poi esploso con il fenomeno Greta Thumberg. Qui si prospettava anche l’esaurimento delle risorse minerarie del pianeta in tempo di 20-40 anni[6]. Una narrazione che nel corso dei decenni non è cambiata di un millimetro, e quando è stata classificata come insostenibile dal punto di vista logico, invece di essere semplicemente soppiantata, ha continuato a far parlare di sé. Ancora oggi, numerose organizzazioni, associano l’ambientalismo, che nulla a che fare con il rispetto della natura, ad una diminuzione dell’impronta ecologica umana. Un esempio lampante è il World Economic Forum[7], che un po' di rifà ai solchi scavati dal Club di Roma, ma non solo: centinaia di organizzazioni cosiddette ambientaliste in realtà favoriscono una visione del tutto spietata dall’essere umano. Il copione è il solito: si rileva un problema, in cui il colpevole è l’uomo con la sua attività industriale, spesso considerata nociva e distruttiva; successivamente si fa di tutto per limitarlo dal punto di vista pratico, mettendo in prima fila politiche di austerity industriale, vietando attività forsennate benché molto spesso quelle aziende inquinanti siano proprio quelle collegate ai grandi magnati del petrolio e dello sfruttamento del suolo; infine, si prepara il terreno per far accettare alla popolazione misure spesso indicibili, a danno delle piccole e medie imprese (una narrazione questa che come ben capite si è fatta anche durante la crisi pandemica, ingegneria sociale pura).
Una delle tante organizzazioni che merita un accenno è nota come Sierra Club. Gran parte dei suoi direttori erano malthusiani ed
eugenisti dichiarati, e nel corso della loro vita non lo hanno mai nascosto,
adottando spesso politiche al limite del razzista che ricordavano molto, in
forme minori, quelle reverendo Thomas Malthus, padre di questo pensiero cinico.
Uno dei più noti è John Miur, ricordato anche come l’abbracciatore di alberi. È
uno degli ambientalisti più famosi d’America nonché autore di svariate
pubblicazioni a favore dell’ambiente, soprattutto quello statunitense. Nel
corso della sua vita non ha mai nascosto il suo odio nei confronti delle
persone di colore, in particolare degli indigeni; e non faceva nemmeno fatica a
nascondere il suo suprematismo bianco, oltre la sua amicizia con gli ambienti
eugenetici dell’epoca, che a fine 800’, negli Stati Uniti, erano fortissimi e
avrebbero avuto poi una sana e spietata applicazione con i processi di
sterilizzazione di migliaia di persone di diversi stati, tra cui la capofila
Indiana[8]:
idioti, criminali accertati, stupratori e poveri. Miur non nascondeva il suo
supporto per queste attività e nei suoi libri apprezzava molto Henry Fairfield
Osborn, paleontologo e ispiratore dell’America Eugenics Society, sostenuto da
alcune oligarchie plutocratiche intente nel loro disegno di controllo della
popolazione.
Miur asseriva chiaramente quanto il pensiero definito
ecologista in realtà andava a braccetto con un pensiero riduzionista e anti-umanista.
Questo breve passaggio tratto dal sito del Sierra Club ci fa ben capire chi
fosse John Miur:
“Muir non era immune al razzismo spacciato da molti nel
primo movimento per la conservazione. Ha fatto commenti sprezzanti sui neri e
sui popoli indigeni che hanno attinto a stereotipi razzisti profondamente
dannosi, sebbene le sue opinioni si siano evolute più tardi nella sua vita.
Essendo la figura più iconica nella storia del Sierra Club, le parole e le
azioni di Muir hanno un peso particolarmente pesante. Continuano a ferire e
alienare gli indigeni e le persone di colore che entrano in contatto con il
Sierra Club”[9].
2. Covid e globalizzazione: le idee di Davos
Col Covid il discorso della globalizzazione ha assunto forme
diverse, è come se i noti teorici della decrescita abbiano voluto spostare i
propri cannoni verso le nazioni della Vecchia Europa, con il fine tattico di
rivoluzionare anche le carte costituzionali e gli impianti di diritto. Insomma,
il gioco che si sta attuando è abbastanza chiaro:
- 1. Portare avanti una narrazione allarmistica, che sia terroristica, pandemica o economica. Per poi spingere i governi ad attuare grandi cambiamenti in tempi di emergenza. Questo ha un impatto profondo nella psiche dei cittadini.
- 2. Offrire la soluzione una volta che gli eventi hanno raggiunto il giusto grado di bollitura e quando i cittadini abbiano capito di avere a che fare con un problema globale e dunque da risolvere velocemente.
- 3. Si attuano politiche volute non dai governi ma da fondazioni, gruppi di potere, think tank che già in precedenza avevano una roadmap prestabilita a cui mancava lo shock economico giusto per applicarla (si veda report Rockefeller Foundation 2010 e documento Unione Europea in merito alle vaccinazioni).
- 4. Far abituare l’opinione pubblica ad un clima di terrore in modo da fargli accettare ulteriori misure liberticide in nome di una sicurezza generica ed astratta, che sia la base poi di una gestione biopolitica sempre più evidente. Questo lo si vede in una fase matura dell’operazione e in concomitanza con l’adesione dei governi ad un certo tipo di modello socioeconomico imposto dalle “misure”.
Il livello di allarmismo tale a cui stiamo assistendo non è
casuale ma funzionale a scenari di ingegneria sociale volti a modificare, a
resettare[10] in
maniera totale l’ambiente in cui si vive e si lavora. Soprattutto l’Occidente,
come si vede dalla gestione dell’emergenza sanitaria reiterata e stiracchiata
sin dall’inizio a suon di decreti speciali, sembra essere il bersaglio di
queste politiche chiusuriste. Perché? È chiaro che il noto reset dell’economia
globale, che probabilmente non si raggiungerà col Covid ma avrà bisogno di un
nuovo shock, debba partire non da un paese terzomondista ma dall’Occidente
industrializzato e ricco. Dunque, le politiche neomalthusiane a cui accennavamo
all’inizio trovano un senso anche pratico: con il fine ultime di cambiare il
volto del capitalismo occidentale, che proprio nel 2019, con i noti allarmi
imposti dalla Banca dei Regolamenti Internazionali di Basilea, aveva in poche parole
decretato la fine di un modo di fare economia e l’avvio di un nuovo modello
spietato e basato sui noti lockdown, che lungi dall’essere strumenti sanitari
si sono dimostrati spietati anche per controllare i livelli di popolazione, vengono imposte misure per accelerare la “decrescita
felice”. Mai contemplati da nessun libro di medicina, e nemmeno consigliati nei recenti scenari pandemici, i lockdown si sono proposti invece un dispositivo
molto interessante per gli ambienti finanziari. Chiudere l’economia, anche con
un pretesto campato in aria ma socialmente accettato, significa sistemare i bilanci delle banche centrali senza rischiare default o crolli economici dovuti
all’iperinflazione. Ed è proprio questo il rischio a cui andiamo incontro, ossia
rivivere un dispositivo come il lockdown (lo stesso disorso vale per il green pass), che potenzialmente potrebbe essere usato per qualunque altro tipo di emergenza. Un po' come accadde col Patrioct Act americano a seguito
dell’11 settembre: fu un dispositivo emergenziale per combattere il
“terrorismo”, ma nel corso degli anni, con l’utilizzo di tecniche di
manipolazione come la finestra di Overton, questa misura divenne accettata e
riconosciuta come funzionale alla sicurezza pubblica. Potremo rivivere questo
anche con il Covid: le misure calate dall’alto per affrontare una emergenza
pandemica potrebbero, qui il condizionale è d’obbligo, essere utilizzate anche
per altro, per scongiurare altri tipi di emergenze anche lontanamente
assimilabili alle pandemie. Dunque, se collocata in quest’ottica, anche le
politiche di arretramento economico in nome di una sicurezza apparente potrebbe
essere funzionale a tutti quei tipi di governo, in primis il governo italiano[11],
finiti da decenni nella morsa di poteri sovranazionali e apolidi. Insomma, si arriverà ad
uno scenario nuovo e inquietante, in cui sarà tirato fuori dal cassetto lo
spauracchio emergenziale, il quale potrà basarsi anche su una presunta malattia
con mortalità innoqua, per spingere verso progetti di modificazione antropologica, volti però anche a stabilire nuovi rapporti di forza
della società. Vedremo nel seguente capitolo, ad esempio, quando lo scenario
Covid, sia funzionale anche ad altri progetti a lungo termine determinati negli
scorsi per immettere il mondo in una gabbia digitale in cui non si potrà uscire
facilmente.
In testa a questa mentalità da carbon free sembra proprio
esserci l’élite di Davos, che non ha mai nascosto la sua agenda e i suoi piani[12],
strutturati anche dal punto di vista della riduzione dell’impatto ecologico. Con
il Grande Reset poi tutto questo è venuto allo scoperto non solo perché era
un’idea che il deus ex machina di Davos, Klaus Schwab, aveva covato almeno dal
2014[13],
ma anche perché necessitava della crisi necessaria per finalmente mettere in
piedi questo folle progetto, che però sembra stia attraversando problemi di
natura applicativa. Basti pensare che al momento molti paesi hanno abbandonato
le politiche del lockdown permanente per tornare alla normalità. Ma non è detto
che il reset dell’economia debba per forza raggiungersi con una malattia
infettiva: serviva quest’ultima solo da grimaldello per accelerare politiche di
accettazione, ma non per forza era fondamentale per cambiare il mondo. Certo, i
covid ha spedito queste proposte avanti anni luce, ma al contempo ha anche
acceso il campanello d’allarme a migliaia di persone.
Nel libro di Schwab, Covid-19: The Great Reset, non si parla
mai di sanità o di prevenzione pubblica[14].
Mai nemmeno un accenno al fatto che dover potenziare i sistemi sanitari
nazionali per scongiurare le future emergenze. Sembra proprio che il Covid sia
l’inizio di un nuovo modo di intendere la politica, ovviamente per i paesi che
aderiranno. Quelli al di sotto dell’ala atlantista e dunque storicamente
associati a consorterie di vario tipo e di estrazione. Tra cui ovviamente i
paesi europei, i quali più di tutti sono stati presi d’assalto dalle misure di
“prevenzione” impostatasi dal virus di Wuhan, come se fosse normale applicare
le norme del regime di Pechino a Roma, a Parigi e Berlino, in sfregio a secoli
di cultura e di decenni di democrazia, imperfetta ma almeno operante nel nome
dei propri cittadini. Invece, con i lockdown, i divieti di assembramento, la
proibizione delle manifestazioni religiose, la criminalizzazione del dissenso,
il distanziamento devastante nelle classi scolastiche, mosse incanalate poi
dalla guerra psicologica dei media, tutto è stato accettato senza un minimo tentennamento.
L’ingegneria sociale a cui facevamo riferimento ha fatto un lavoro eccezionale,
facendo abituare a questo clima apocalittico milioni di persone senza che
quest’ultime mettessero in discussione i provvedimenti; i media hanno poi
rispettato i canoni di Davos, si pensi all’Event 201 (organizzato in
partnership con la Bill and Melinda Gates Foundation e la John Hopkins
University), svoltosi ad ottobre 2019, in cui faceva chiaramente riferimento al
fatto che i social media dovessero rispettare i dettami dell’OMS, pena la
censura, mettendo gli uni contro gli altri, fazioni immaginare, pro mascherine
contro no mascherine, pro vaccino contro no vaccino, e spingendo poi verso una
guerra all’informazione libera e alternativa, colpevole di non seguire i
dettami delle organizzazioni certificate (nota è l’attività dei Fact Checker
durante i primi mesi della pandemia, coordinati dall’Istituto Poynter[15],
situato a St. Petersburg, Florida, e da Newsguard[16]).
Qui leggiamo un frammento di una delle raccomandazioni della
John Hopkins University in merito alla lotta alla disinformazione presentate
dopo la fine di Event 201:
“I governi dovranno collaborare con le società di media
tradizionali e di social media per ricercare e sviluppare approcci agili per
contrastare la disinformazione. Ciò richiederà lo sviluppo della capacità di
inondare i media con informazioni veloci, accurate e coerenti”.[17]
3. Digitalizzazione forzata: l’inizio di una nuova era?
In realtà il discorso legato alla digitalizzazione sta alla
base di tutto, nulla viene a caso e anche questo processo si inserisce appieno
come epifenomeno di un fenomeno più grande come la trasformazione digitale in
atto, ossia la nascita di un nuovo paradigma socioculturale. Si può dire che con
la pandemia questa non si sia “modificata” ancora di più, adattandosi al clima,
ma abbia anche manifestato una certa violenza perché è diventata un modus
operandi con cui abituare le persone al distanziamento sociale, alla
neutralizzazione dei rapporti e ad un abbandono di una vita civile. Ciò che si
è visto negli ultimi due anni non è altro che un assaggio di ciò che avverrà
con l’introduzione onnipervasiva delle nuove tecnologie, le quali diverranno sempre
più presenti ed infine riusciranno anche, in un certo senso, a mettere l’uomo
in un angolo, basti pensare alla potenza di intelligenze artificiali o internet
delle cose. Ebbene con la pandemia, vera o presunta, questi processi rimasti
nel cassetto dei fautori della quarta rivoluzione industriale hanno avuto lo
scenario che tanto amano: un mondo desolato, impaurito, disarticolato e
socialmente spaccato in due. Lo stage perfetto per spingere verso smart
working, didattica a distanza, riunioni meet, conferenze zoom e così via. Far
abituare miliardi di persone, anche le più refrattarie, ad usare device e
dispositivi di ultima generazione in grado di collegarsi a causa di un patogeno
respiratorio è stato facilissimo, e ha spinto poi quelle stesse persone ad
abusare sempre di più di questi mezzi, quasi come se fosse ormai considerata la
norma. La già citata finestra di Overton ha permesso
di far entrare nell’immaginario collettivo di questi individui l’aspetto che la
tecnologia è ormai la base di questa “nuova normalità”, su cui si baserà,
probabilmente, un ulteriore spinta in avanti nei prossimi anni. Basti pensare a
strumenti come il già menzionato lockdown, un dispositivo magnifico per i signori di Big Tech, per quelle grandi multinazionali di
internet che, come è ovvio, dal 2020 in poi hanno capitalizzato sempre di più[18]
e i loro padroni hanno visto le loro tasche appesantirsi, mentre milioni di
aziende a gestione privata, come quelle italiane, hanno visto chiusure,
ipoteche e indebitamenti. Insomma, in questo ci è stato ciò che alcuni signori
sognavano: far fallire le piccole medie imprese, spingere le masse a scegliere
le opzioni “facili” e “confortevoli” delle Big Tech e far arricchire i loro padroni. Tutto ciò in nome di un nemico invisibile. Che per
sconfiggerlo occorre incendiare i diritti umani e civili perché è una minaccia
insostenibile. Ma a far le spese sono come al solito sono i popoli, per molti
considerati superflui (si legga Oligarchie per popoli superflui di Marco Della Luna, Arianna Editrice, 2018) e non più funzionali al sistema
capitalistico che si sta generando mentre milioni di persone ancora si
preoccupano di misurarsi la temperatura corporea o si stanno impegnando di
dimostrare di essere persone sane e meritevoli del tanto agognato diritto alla libertà.
Libertà che, nel contesto ultracompatto della tecnologia 4.0, verrà
ulteriormente messa all’angolo: modello su cui puntano i teorici della quarta
rivoluzione industriale[19]
che non fanno tanto per nascondere i propri intenti, è il social credit system
cinese: una patente a punti, in grado di stabilire la benignità o la
malignità di un cittadino. Il controllo perfetto per uno stato paternalista
autocratico, dove per vivere devi avere uno smartphone e per pensare devi
essere allineato al pensiero comune; chi fa il contrario, ossia chi ha ancora
un minimo di raziocinio e di bontà critica, merita di essere cacciato fuori
dalla società. Non notate che questo sta avvenendo, ovviamente in forma
embrionale, anche nella nostra società? Eppure, questa spinta, questo
colonialismo culturale e tecnologico cinese è talmente evidente che devi
sforzarti per non vederlo: anche l’antropologia dell’uomo occidentale è stata
distrutta in un anno di gestione politica, mediante metodologie a dir poco
autoritarie e noncuranti della tradizione di questo o di quel paese. Se
esisteva un modo per piegare migliaia di anni di cultura, questo lo si è visto
dai primi annunci delle chiusure e dalla spinta sistematica delle tecnologie a
distanza, oltre che dalla comunicazione giornalistica e politica che faceva di
tutto per disegnare, nel contesto dell’emergenza, la bontà di riunioni in
streaming o di servizi digitali scolastici. Insomma, l’intellighenzia
occidentale ha fatto di tutto per mascherare la trazione antiumanistica di
quello che stava avvenendo e al contempo ha evitato il dibattito con pensatori,
filosofi (basti pensare al modo con cui la stampa italiana ha trattato Giorgio
Agamben), che proponevano interrogativi sulla gestione bioetica e sulla biopolitica
scaturita dall’emergenza.
“La specie umana può, se vuole, trascendere sé stessa,
non solo sporadicamente, un individuo qui in un modo, un altro là in un altro,
ma come umanità nella sua interezza. Abbiamo bisogno di un termine per questa
nuova credenza. Forse transumanesimo andrà bene: l’uomo che resta uomo, ma che
trascende se stesso realizzando nuove possibilità della e per la sua natura
umana” (Julian Sorell Huxley, 1957).
[1] https://www.c-span.org/video/?60201-1/annual-ambassadors-dinner
[2] https://en.wikipedia.org/wiki/National_Security_Study_Memorandum_200
[3]https://historynewsnetwork.org/article/1796
[4]https://pdxscholar.library.pdx.edu/cgi/viewcontent.cgi?referer=https://www.google.com/&httpsredir=1&article=3587&context=open_access_etds
[5] https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/12349764/
[6] G.
Marletta, P. Gulisano, “L’ultima religione. Dall’eugenetica alla pandemia:
l’alba di una nuova era?”, Historica, 2020, p. 50
[7] https://www.weforum.org/agenda/2015/01/could-we-live-in-a-zero-growth-society/
[8] https://eugenics.iupui.edu/
[9] https://www.sierraclub.org/michael-brune/2020/07/john-muir-early-history-sierra-club
[10] https://www.weforum.org/agenda/2020/06/now-is-the-time-for-a-great-reset/
[11]https://www.youtube.com/watch?v=osAOCzCZFM0&t=95s&ab_channel=PresidenzadellaRepubblicaItalianaQuirinale
[12] https://intelligence.weforum.org/topics/a1Gb0000000LHN2EAO?tab=publications
[13] https://www.youtube.com/watch?v=RAjYAXYGPuI&feature=youtu.be&ab_channel=APArchive
[14] https://it.euronews.com/2020/11/17/klaus-schwab-il-covid-e-l-occasione-per-un-reset-mondiale
[15] https://www.poynter.org/major-funders/
[16] https://www.newsguardtech.com/it/coronavirus-misinformation-tracking-center/
[17] https://www.centerforhealthsecurity.org/event201/recommendations.html
[18] https://www.theguardian.com/business/2021/may/01/its-just-the-beginning-covid-push-to-digital-boosts-big-tech-profits
[19] https://www.youtube.com/watch?v=7xUk1F7dyvI&ab_channel=LeeKuanYewSchoolofPublicPolicy
Commenti
Posta un commento