Cambiamento climatico: la prossima emergenza?
A cura di Giancarlo Pacelli
Tra le tante grandi narrazioni che imperversano nei media
mainstream vi è la questione del cambiamento climatico, alla cui base vi è
ovviamente la responsabilità dell’essere umano che nel corso degli ultimi 50
anni ha sfruttato il pianeta depredandolo delle sue ricchezze per soddisfare i
propri bisogni e per ingigantire i suoi profitti, a discapito di madre natura.
Se qualche decennio fa nessuno metteva in discussione le attività di grosse
multinazionali del petrolio o degli idrocarburi, oggi sta capitando la stessa
cosa: quelle stesse entità propongono infatti la soluzione per
trasformare la produzione industriale in produzione green; la finanza in
finanza green; la pubblica amministrazione in pubblica amministrazione green e
così via. Se non lo avete capito questa narrazione, questo problema, questa
nuova emergenza, servirà da una parte a giustificare nuove politiche
economiche, dall’altra a implementare nuove forme di ingegneria sociale sempre
più sopraffine e puntanti all’assoggettamento totale dell’opinione pubblica. Lo
abbiamo visto chiaramente durante l’ultimo anno e mezzo: è bastato poco per
rendere supino un intero popolo e per fargli fare tutte le cose che il potere
desiderava fargli fare. Tecniche di inversione linguistica, PNL basate su
paura, soggezione e coercizione sono state da questo punto di vista applicate
scientificamente; mentre non è mancata la propaganda buonista che ha
immediatamente messo sull’attenti anche i più dubbiosi in modo da spingerli nel
girone infernale della paura. Lo stesso capiterà quando a breve ci sarà una
nuova emergenza, quella climatica quindi basata su piogge, inondazioni, blackout elettrici e così via, che serviranno, come è accaduta con la questione sanitaria, a
spingere sull’acceleratore delle politiche globali di deindustrializzazione e
di riconversione industriale; non si spenderanno più le giornate in auto perché
inquina, non si useranno apparecchi particolari perché si rischia un aumento
della Co2, le industrie dovranno razionalizzare le loro prestazioni, le loro
performance, considerate normali, saranno sdoganate le tanto agognate macchine
elettriche, i già presenti monopattini sostenibili e così via. Non c’è miglior
modo per spingere le persone a cambiare la loro vita che gettargli addosso la
paura di un imminente e violento cambiamento climatico, già opportunatamente
preparato da anni di televisione e di cinema, che, come con i virus che
scappano dai laboratori super protetti, mette in pericolo la vita di milioni di
persone. Tutto questo ad un popolo già frastornato di suo, non in grado di
usare il raziocinio e non più capace di mettere in pratica un grammo di critica
e autocritica, non può che devastarlo. È tutta una questione di narrazione come
dicevamo prima: la crisi serve al potere per consolidarsi sempre di più e al
contempo rende fertile il terreno per altre future crisi, le quali saranno
spinte dagli stessi personaggi che l’hanno generate. Insomma, è un canovaccio
che anche col cambiamento climatico avremo di fronte, e non avremo nemmeno fin
troppa difficoltà a capire dove andrà a parare questa nuova emergenza, basata
più che su fatti da narrazioni apocalittiche, disastrose e mortali.
Pandemia e cambiamento climatico
"A prima vista, la pandemia e l'ambiente potrebbero sembrare solo cugini alla lontana, ma in realtà sono molto più vicini e intrecciati di quanto pensiamo" (Klaus Schwab, "Covid-19: The Great Reset")
Sebbene le due cose sembrino cozzare in realtà sono meno
dissimili del previsto. Se da un lato la pandemia ha spinto l’opinione pubblica
ad accettare l’inaccettabile, quindi privazioni della libertà, di spostamento, di riunione (evocando la parola assembramento), dall’altro anche la cosiddetta
crisi climatica si poggia sugli stessi binari. Terrore, paura, rassegnazione ed
evocazione della morte. Stessi parametri, stesse reazioni. Solo che si passa
dalla paura imminente di morire per un terribile virus invisibile, ad un altro
tipo di paura dovuta ad una inondazione dovuta alle piogge. Il substrato su cui
si poggia tale narrazione è talmente rodato che è facilissimo capire i motivi
per cui esiste: già nel corso del 2020, il World Economic Forum[1],
il pensatoio oligarchico che aspirava da anni ad un reset dell’economia globale
e ad un rimodellamento della società (di legga qui l’articolo[2]
della danese Ida Auken reso pubblico nel 2016), parlava dei benefici dei
lockdown visti non come strumenti di privazione delle libertà personali sancite
dalle costituzioni ma come dispositivi essenziali perché in grado di frenare le
emissioni di carbonio. Insomma, la correlazione sistemica tra crisi pandemica e
crisi climatica è abbastanza evidente, e allo stesso modo questa la si può
notare nei vari telegiornali, che ormai trattano solo ed esclusivamente del
clima e delle sue conseguenze devastanti. Sono presenti ora nei teleschermi
siccità, inondazioni, aumento delle temperature, e dal consueto raduno dei
leader mondiali all’Onu è arrivato il monito di considerare la crisi del clima,
che stranamente non aveva mai invaso le televisioni nel 2020 dopo che nel 2019,
grazie a Greta Thumberg, era il primo tema in agenda, come una vera e propria
pandemia. Quindi restrizioni delle libertà saranno giustificate dall’aumento
delle emissioni di carbonio, la chiusura in casa di milioni di persone da un
imminente catastrofe globale in grado di colpire tutti indistintamente (a
differenza del virus che, a detta delle fonti ufficiali, colpisce solo una
fascia d’età specifica). Il presidente del Consiglio italiano[3]
è stato il più esplicito di tutti, ma non sono mancati gli accorgimenti del
segretario dell’Onu (tra l’altra uno dei grandi sostenitori del Grande Reset di
Davos), secondo cui la catastrofe che avremo difronte sarà devastante. A questo
aggiungiamo il presidente degli Stati Uniti che invece ha alzato ancora di più
i toni affermando dell’imminente arrivo di altre pandemie, le quali
assieme al disastro ambientale sono ormai il punto principale dell’agenda
mondiale.
L'anno scorso Marianna Mazzuccato, professoresso di economia e autrice di un emblematico volume chiamato "Non sprechiamo questa crisi" (2020), in un suo articolo su Project Sindacate, seguendo le idee del World Economic Forum, parlava chiaramente del fatto che i lockdown potrebbero essere utili nella futura emergenza climatica. Leggiamo la prima parte:
"Con la diffusione del COVID-19 all'inizio di quest'anno, i governi hanno introdotto blocchi al fine di evitare che un'emergenza di salute pubblica sfugga al controllo. Nel prossimo futuro, il mondo potrebbe dover ricorrere nuovamente ai blocchi, questa volta per affrontare un'emergenza climatica".
Una forte presa di posizione,c he fa quasi pensare ai lockdown come gli strumenti perfetti per una emergenza climatica. Talmente evidente è la correlazione che la Mazzuccato suggerisce ai governi di usare i blocchi per evitare l'uso di veicoli e per favorire il risparmio energetico.
Ed ecco che poi arriva l'aspetto economico più interessante, quello che vede tutti d'accordo. Ossia la trasformazione industriale in funzione del green:
"Affrontare questa triplice crisi richiede di riorientare la governance aziendale, la finanza, la politica e i sistemi energetici verso una trasformazione economica verde".
Sorge ora un dubbio: perché tutta questa frenesia nel
riprendere in mano il martello della paura climatica in cui momento in cui gran
parte dei paesi, tranne l’Italia, sembrano sulla strada del ritorno alla
normalità. Perché si deve necessariamente evocare la paura e non la serenità?
Sembra quasi che le crisi, come aveva asserito Mario Monti qualche tempo fa,
sono necessarie per accelerare cambiamenti strutturali. Questo lo si nota
abbastanza bene leggendo tra le righe, compiendo dunque un’analisi
metacomunicativa, di ciò che i leader mondiali dicono almeno da un paio di
mesi: siamo in difficoltà, dunque, dobbiamo accelerare politiche di privazione,
di riduzione di sacrificio, a favore di una ripresa collettiva che presto
avverrà. Con lo spettro del tanto agognato ritorno al mondo pre-2020, la gran
parte della narrazione si concentra solo su scenari apocalittici e non sul come
tornare a vivere in maniera ordinaria. È un po' quello che sperimentiamo da due
anni: ci dicono in tutte le salse che sarà tutto bello, che torneremo alla vita
di prima, ma solo se eseguiremo obbedientemente i dettami del potere politico;
se così non si fa allora torneremo in fase emergenziale, in un momento di stasi
economica e di paralisi sociopolitica. La strategia appare dunque abbastanza
chiara se la si pensa come le istituzioni: per loro questo clima di terrore
psico-sanitario è abbastanza gradevole, perché permette loro di arricchire
la loro presenza mediatica e di permettersi cariche istituzionali sempre più
ambite.
La vera entità del cambiamento climatico
“La finanza green”
Come detto l’isteria collettiva causata dal Covid-19 ha causato un ripensamento delle politiche di gestione emergenziale. Si è passato dal pensarle come un fatto accidentale, che ha messo a repentaglio la vita collettiva, a strumenti molto intriganti, in grado di spazzare via con un solo colpo secoli di attività simil-democratica legata indissolubilmente alla fiducia nelle costituzioni liberali. Ma ora sembrerebbe che quest’epoca di buonismo democratico sia finita, sia passata dall’essere la base della vita umana ad un peso per il potere: e questo probabilmente lo vedremo anche nella prossima crisi emergenziale legata al cosiddetto surriscaldamento globale.
Essendo la base di gran parte delle iniziative nate negli ultimi anni, dal Green New Deal al Grande Reset, passando per l’Agenda 2030, il riscaldamento globale diverrà la priorità dei governi. Tutte queste iniziative, che fanno riferimento ai soliti pensatoi oligarchici globalisti, fanno riferimento alla corsa sfrenata verso il tanto agognato step dello Zero Emission, ossia ad un mondo senza industria, dominato dal verde e in cui probabilmente non ci saranno più permesse grandi corse su treni o aerei e in cui quella che prima consideravamo normalità è terminata in nome di un nuovo ecologismo (da leggere anche come fanatismo ecologista).
La vita sarà scandita dal terrore di inquinare il prossimo e dalla possibilità, anche remota, di impedire ad un albero di crescere o ad una pianta di germogliare. Allo stesso modo saranno impedite riunioni, conferenze o manifestazioni perché mettono a rischio la salute del pianeta.
Una vita da reclusi in casa (vi ricorda qualcosa? Non è quello che abbiamo sperimentato a marzo/maggio 2020?), che ben si sposa con le agende dapprima menzionate. Pensiamo al Grande Reset, l’obiettivo utopico di questi plutocrati è evitare che si emettano grandi quantitativi di Co2, occorre per questo motivo rallentare l’economia, la crescita per salvare il nostro pianeta da una fine già scritta (la teoria del decrescitismo, come ben sappiamo, non nuova in quegli ambienti). Questa visione apocalittica però cela dietro di sé una precisa visione del mondo che pensa a tutto tranne che a salvaguardare l’ambiente dalle emissioni di Co2. Capiamo infatti che dietro alle direttive del World Economic Forum ci sono le grandi banche d’affari, i più grandi fondi di investimento, BlackRock in testa, e i multimiliardari. Non trovate strano che dietro la retorica del cambiamento climatico ci siano proprio coloro che hanno contribuito a danneggiare il pianeta? Basti pensare appunto a BlackRock, fondo che ha costruito gran parte della propria potenza economica investendo nelle aziende più inquinanti del pianeta: Chevron (tra l'altro facente parte del World Business Council for Sustainable Development assieme a Microsoft, Google etc), Exxon, Shell e così via.
Oggi è non solo il principale partner di Davos, oltre che padrone di gran parte dei media occidentali e delle cause farmaceutiche, ma anche delle politiche green: ha stabilito infatti una serie di parametri che le aziende dovranno scegliere, e se non saranno idonee a queste ultime non avranno finanziamenti, tramite un meccanismo di finanziamento chiamato ESG (Environment, Social & Governance).
Secondo un report di Bloomberg[4], ”le obbligazioni verdi e i prestiti del settore bancario globale superano finora il valore dei finanziamenti fossili quest'anno, un'inversione senza precedenti dalla conclusione dell'accordo di Parigi alla fine del 2015”. Nel 2013 la Morgan Stanley ha creato un’iniziativa chiamata Partnership for Carbon Accounting Financials (PCAF), dove vi entrano tutti gli elementi proposti nelle agende globali. Il sito della banca d’affari riporta che “il PCAF è una collaborazione per standardizzare la contabilità del carbonio per il settore finanziario, consentendo un approccio armonizzato alla valutazione e alla divulgazione delle emissioni di gas serra finanziate da prestiti e investimenti. PCAF è utilizzato da proprietari di attività, gestori patrimoniali e banche per supportare un'ampia gamma di iniziative sul clima; e aggiunge che “il comitato direttivo di PCAF è focalizzato sulla gestione del progresso e del successo di questa iniziativa guidata dal settore. I membri del comitato direttivo di PCAF includono ABN AMRO, Amalgamated Bank, ASN Bank, Global Alliance for Banking on Values (GABV) e Triodos Bank”.
Contrazione demografica
Ma dietro al buonismo de “il mondo sta finendo” e
l’immancabile “moriremo tutti” si cela una volontà che vuole
radicalmente controllare la demografia, in funzione di un futuro equo e sostenibile.
È riconosciuta la correlazione tra demografia e Pil: se infatti dovesse
prevalere la linea di Davos e delle altre congreghe sovranazionali; quindi, si
andasse a materializzare il futuro distopico del Grande Reset, ci sarebbe una
forte contrazione a livello delle nascite e gran parte dei paesi industrializzati
finirebbero per tornare ad uno stato economico fortemente precario, per cui in
nome dell’ecologia e dell’ideologia green entro un tot di tempo, si potrebbero
chiudere interi settori industriali con la nefasta conseguenza di perdite di
milioni di posti di lavoro. La visione della diminuzione demografica non è una
paranoia ma è in realtà un dato di fatto sdoganato dagli organi di
informazione. Il New York Times[5],
e recentemente anche alcuni quotidiani italiani[6],
hanno parlato dell’effettiva diminuzione delle nascite del 2020, che andranno a
ripercuotersi malamente sul tessuto delle future nascite. Addirittura, il
presidente dell’Istat Giancarlo Blangiardo dice che l’Italia è un paese “potenzialmente
di 32 milioni di abitanti”, quindi si sta parlando di una di una metà
completa di popolazione che verrà “spazzata” via. Ma da cosa? Cosa
potrebbe spingere l’Italia a dimezzarsi e a perdere così gran parte della sua
vitalità? È un caso che proprio l’Italia sia soggetta dell’isteria pandemica
più gravosa d’Europa e, al contempo, sia centrale nei futuri progetti della green
economy, tanto da avere un ministero dedicatosi alla causa? Anche l’aspetto
dell’austerity economica iniziata nel 2011 con il governo Monti fece abbastanza
capire l’andazzo deindustrializzante contro il nostro paese (a questo
poi si aggiunga anche gli oltre 30 miliardi di euro tolti alla sanità
pubblica).
Un articolo di Le Monde[7]
del gennaio 2010 parlava chiaramente di ridurre la popolazione mondiale per
salvare il mondo da una imminente catastrofe climatica. Lo scritto esordisce
chiarendo le motivazioni per cui si debba ridurre la demografia: “La domanda
è diventata ricorrente. Tanto che il Fondo delle Nazioni Unite per la
Popolazione (UNFPA) ha affermato nel suo rapporto 2009 sullo stato della
popolazione mondiale, presentato alla conferenza di Copenaghen il 18 novembre
2009, che il riscaldamento globale non può essere arginato solo da una
massiccia riduzione della popolazione”.
E cita anche un report, che è scomparso dal sito di Le Monde,
di una ONG che si occupa del problema della sovrappopolazione, la Optimum
Population Trust. La Optimum Population Trust si occupa della demografia planetaria
e della sua correlazione con l’ambiente, ha sede nel Regno Unito ed è stata
fondata nel 1991 da David Miley. Il comunicato della ONG[8],
recuperato da Web Archive, è abbastanza chiaro:
“Con la popolazione della terra che cresce di circa 80 milioni
- una nuova Germania - ogni anno, l'Optimum Population Trust ha riunito un
distinto gruppo di esperti per discutere il caso scientifico per abbassare
le popolazioni globali e nazionali a livelli sostenibili dal punto di vista
ambientale”.
“Il cambiamento climatico, la crescente scarsità di cibo,
il previsto picco delle forniture di petrolio e gas e la crescita della
migrazione internazionale hanno focalizzato una rinnovata attenzione sulla
crescita della popolazione, con figure di spicco sia dei partiti laburisti che
dei conservatori che hanno parlato di recente della necessità di politiche
demografiche e figure di spicco in il movimento verde, tra cui James Lovelock,
autore della teoria di Gaia, che metteva in guardia dai pericoli della
sovrappopolazione”.
La visione chiara, e cinica, di queste affermazioni ci
suggerisce una volta per tutte che cambiamento climatico e sovrappopolazione
non sono termini accostati a caso. Sono fortemente correlati e fanno
riferimento ad una vera e propria ideologia neo-malthusiana. Ricordate Thomas
Malthus, celebre economica noto per il suo disprezzo del ceto medio britannico?
Ebbene queste prese di posizioni da parte di queste organizzazioni, e ne
potremo citare anche altre, sono intrise di questa ideologia per cui bisogna
necessariamente ridurre l’impatto ecologico umano. Cosa che lungi dall’essere
folle risulta anche comprensibile per i gruppi di potere e per i controllori
del denaro, tuttavia, mascherare tutte queste iniziative con una retorica
fallace alla base fa sorgere parecchi dubbi sulla buonafede di questi signori.
In un libro del 1991 il chimico, nonché fondatore dello
stracitato ma poco conosciuto Club di Roma, Alexander King, dichiarava
apertamente che per salvare il pianeta, e qui ritorna il leitmotiv che impera
nei giorni nostri, l’uomo deve farsi da parte, non deve azzardarsi più di
consumare e di incenerire le risorse. In “In The First Global Revolution”
(1991), King, assieme al coautore Bernard Schneider, asserivano chiaramente che
il problema globale del cambiamento climatico fosse legato all’uomo:
“The common enemy of humanity is man. In searching for a new enemy to unite us, we came up with the idea that pollution, the threat of global warming, water shortages, famine and the like would fit the bill. All these dangers are caused by human intervention, and it is only through changed attitudes and behavior that they can be overcome. The real enemy then, is humanity itself.”
Tale parere è condiviso anche da parecchi scienziati, medici, intellettuali e membri di governi. Uno dei più noti è un professore della Stanford University, Paul R. Ehrlich, autore di un libro che divenne letteralmente la bibbia del neo-malthusianesimo chiamato The Population Bomb (La bomba demografica), best seller nel 1968. La tesi di Ehrlich era abbastanza semplice ma al contempo spietata e spiega i motivi per cui chi sostiene l’estremismo ambientalista ha spesso idee ciniche nei confronti dell’impronta umana. E assieme a questo asseriva la volontà di ridurre le nascite mediante meccanismi contraccettivi, con l’obiettivo di controllare la demografia, cosa che è continuata nel corso degli anni per arrivare fino ad oggi. Nonostante le tesi devastanti del biologo ambientalista, a distanza di ormai 50 anni, possiamo dire che le sue tesi catastrofiste sono state messe da parte perché assurde e insostenibili scientificamente.
La stessa cosa che successe al
reverendo Malthus: all'inizio la sua tesi venne sposata dalla "comunità scientifica",
poi, vista la sua incapacità di sostenersi logicamente, venne messa da parte.
Nel mezzo dei due momenti però vi è stato il momento in cui la politica ha
“sfruttato” queste tendenze antiscientifiche e antilogiche per avviare una
serie di processi. Come sempre indirizzati più che alla fantomatica
salvaguardia della salute ad un controllo sociale e politico.
[1] https://www.weforum.org/agenda/2020/08/pandemic-policy-must-be-climate-policy/
[2] https://web.archive.org/web/20210427224934/https:/www.weforum.org/agenda/2016/11/how-life-could-change-2030/
[3] https://www.lastampa.it/politica/2021/09/20/news/clima-draghi-un-emergenza-come-la-pandemia-bisogna-agire-subito-ma-le-sole-risorse-pubbliche-non-bastano-1.40723120
[4] https://www.bloomberg.com/graphics/2021-wall-street-banks-ranked-green-projects-fossil-fuels/?srnd=green-finance
[5] https://www.nytimes.com/2021/05/22/world/global-population-shrinking.html
[6] https://www.huffingtonpost.it/entry/siamo-un-popolo-potenziale-di-32-milioni-di-abitanti-listat-lancia-lallarme_it_614b0786e4b0d9b6de9e0e87
[7] https://www.lemonde.fr/planete/article/2010/01/18/faut-il-reduire-la-population-mondiale-pour-sauver-la-planete_5976998_3244.html
[8] https://web.archive.org/web/20100710001252/http:/www.optimumpopulation.org/releases/opt.release16Mar09
[9] https://www.wsj.com/articles/the-population-bomb-was-a-dud-1525125341
Commenti
Posta un commento